busubess-coach-3Negli articoli precedenti mi sono concentrato su una stranezza del mondo della consulenza alle Risorse Umane, soprattutto nell’ambito dello sviluppo delle cosiddette “soft skills”:

la rinuncia alla misurazione dell’efficacia.

Per farlo, ho anche sottolineato quella che è stata per decenni una distinzione professionale molto rigida e che oggi appare in realtà un po’ annacquata: la ripartizione tra consulenti-valutatori e consulenti-sviluppieri.
“Sviluppieri” è un neologismo (scorretto in italiano e introvabile nei vocabolari) che indicava, nel jargon professionale dei consulenti anni ‘90, i professionisti dello sviluppo delle competenze: formatori e coach, contrapposti agli esperti di assessment detti anche “valutatori”.
Non ho intenzione di semplificare il problema, ma si può affermare che almeno uno dei motivi per cui in passato tale discriminazione sembrava più forte e caratterizzata da polemiche era la diversa origine universitaria di tali figure professionali.

Molto spesso i cosiddetti valutatori erano laureati in psicologia, armati di teorie metodi e strumenti psicometrici. Molti di loro erano fieri della propria specializzazione, iscritti ad un Albo professionale, spesso molto legati a una teoria di riferimento in polemica con altre correnti psicologiche, e guardavano dall’alto in basso il mondo dei formatori, considerati dei praticoni istrionici.
Gli sviluppieri avevano un’origine più varia: potevano provenire praticamente da qualsiasi background di studi. Questo argomento meriterebbe ulteriori approfondimenti (vedi per una sintesi il box sotto).
In ogni caso, gli sviluppieri al contrario dei valutatori erano spesso molto eclettici nell’attingere a teorie e strumenti di varia provenienza non disdegnando anche approcci poco solidi dal punto di vista scientifico e restando legati a prassi apprese sul campo e trasmesse oralmente da un professionista all’altro. Spesso, essi accusavano i valutatori di fare del “riduzionismo scientifico” nei confronti delle loro pratiche: un modo per dissimulare un po’ di senso di inferiorità in termini di solidità scientifica.

Oggi le due figure spesso coincidono, anche perché l’assessment ha aperto le porte ai non-psicologi e molti psicologi si occupano anche di sviluppo, per cui le vecchie rivalità sembrano essere state messe da parte.

Ma è proprio così?

Può darsi che le figure spesso coincidano, ma i settori della Valutazione e dello Sviluppo in ambito HR continuano a seguire logiche completamente diverse.  Infatti, come emerge dagli articoli precedenti, ciò che viene osservato in un assessment delle competenze sembra essere qualcosa di completamente diverso da ciò che viene sviluppato in seguito nel percorso di formazione o coaching delle competenze. In altre parole, i due mondi si sono solo apparentemente riconciliati, come nell’esempio dei due idraulici. In realtà, essi non si sono ancora reciprocamente influenzati e messi d’accordo sul proprio oggetto d’interesse.

Mi permetto di dire che questo non è un modo di procedere serio e professionale.

La vera fortuna dei consulenti alle Risorse Umane è che i loro clienti (di solito, della Funzione HR) sono rassegnati ai loro abusi e ormai li danno per scontati.
Oggi, però, viviamo in un periodo di crisi economica, in cui le aziende mirano all’efficienza e tagliano tutte le spese che non sono considerate essenziali al buon andamento del business. In una condizione come questa, le prime voci di spesa che vengono tagliate sono spesso quelle relative all’assessment e allo sviluppo delle soft skills.

Il motivo principale, a mio parere, è che nei decenni passati i consulenti HR non hanno saputo misurare in modo oggettivo l’efficacia del proprio operato.

Per cui, oggi, i consulenti della valutazione e dello sviluppo stanno pagando caro lo scotto della propria superficialità.

In vent’anni in questo settore, ho conosciuto formatori aziendali sulle “soft skills” con alle spalle gli studi più disparati, per esempio: Lauree in Psicologia, Sociologia, Lingue, Medicina, Biologia, Chimica, Ingegneria, Informatica, Matematica, Economia, etc.
Molti formatori non erano nemmeno laureati.
Ammetto che solo una sparuta minoranza dei formatori da me conosciuti aveva una laurea in Scienze della Formazione.
La Facoltà di Scienze della Formazione, infatti, sorse dalle ceneri della vecchia Facoltà di Magistero solo negli anni ’90 del secolo scorso, quando anch’io cominciai a frequentarla. Per vari motivi, inoltre, questa professione non ha mai avuto un Albo, condizione che oggi perdura.
Infatti sia i Formatori sia i Coach sono tra le figure professionali a cui è mirata la Legge 4, del 14 gennaio 2013, che ha gettato le basi dello statuto delle professioni non regolamentate.