Ho davanti a me una foto in cui io e mio marito eravamo seduti a cenare in una splendida veranda all’aperto con i nostri amici, pizza e linguine alle vongole. Mi è venuta un po’ di malinconia.

Beh, a dir la verità, in questo periodo delle buonissime cenette non stanno mancando, ma mancano i nostri amici, i nostri affetti, e tante altre cose.

Abbiamo adottato le nostre strategie organizzative: guai a restare in pigiama o a poltrire sul divano! Una tabella di marcia, fin troppo serrata, sta scandendo le nostre giornate.

Abbiamo anche la fortuna di avere due piccoli che non ci fanno annoiare, infatti anche per loro abbiamo steso un bel programma di attività. Ci siamo concessi anche dei momenti solo per noi e alcuni per videochiamare parenti e amici. Non mancano fash mob, chiacchierate fra vicini dal balcone, e reportage umoristici di amici sui social.

Proprio adesso, sto usando il tempo per me, per lasciarmi andare alle parole e per trovare ristoro scrivendo.

Si, perché non mancano i momenti bui.

Ieri mio marito ha sentito una nostra vicina di casa urlare dal balcone, il peggio che possiamo immaginare. Implorava Dio che non fosse vero che non avrebbe più rivisto suo figlio. Ucciso dal covid-19 giovanissimo. Appena diventato papà, lo ricordo mentre passeggiava tra le strade del nostro quartiere con la carrozzina. Poi ho seguito un bellissimo webinar e anche lì le parole di un nonno mi hanno trafitto il cuore.  Ha il nipotino malato e ci ha scritto che il fatto di non poterlo vedere gli fa talmente male che sente dolore. Come se ciò non bastasse, in serata, ho visto un breve reportage che racconta di quello che stanno vivendo gli operatori sanitari, i pazienti e i loro cari, condiviso da un mio amico medico sui social.

Ebbene sì, mi sono allontanata dagli occhietti vivaci dei miei bambini e ho volontariamente deciso di lasciarmi andare alla tristezza. Avevo bisogno di farlo, di piangere, di lasciarmi andare alle emozioni.

Non so se a voi è già successo, ma vi consiglio di farlo. Non è stata una liberazione, quanto, piuttosto, uno sfogo per la frustrazione che, sono sicura, in molti si stanno tenendo dentro da giorni.

Vi voglio dire una cosa però, stiamo attenti ai pericoli che corriamo in questo periodo, se sentiamo anche solo momentaneamente pensieri fortemente deleteri e negativi, cerchiamo di riprenderne il controllo.

Avrei pianto per ore, lo ammetto, ma ad un certo punto ho deciso di riprendere il controllo di me stessa e reagire. Non sono un medico in prima linea e nemmeno un volontario o un addetto alla cassa al tempo del covid-19, sono solo una mamma che ha il ruolo di proteggere i propri bambini e anche una donna che si è data come missione quella di dare messaggi positivi e di speranza a tutte le persone che incontro. Così ho asciugato le lacrime e sono ripartita.

Stiamo vivendo un’emergenza sociale che non possiamo controllare. Di solito, quando ci succedono delle cose negative, ci piace credere che possiamo cambiarle, influenzare il loro corso e trasformarle in qualcosa di positivo, ma adesso non è ancora così.

Il mio collega Giovanni parla giustamente della necessità di avere resistenza e resilienza, per riuscire ad affrontare un trauma di questo genere, che non sappiamo nemmeno quanto durerà. Se siamo fortunati lo sentiamo come lontano, ma determina ugualmente le nostre vite. Le sta cambiando trasmettendoci senso di impotenza e frustrazione.

Non dobbiamo commettere, però, il grave errore di estendere questo sentimento ad ogni cosa, anche alle piccole cose che invece possiamo controllare, come la nostra quotidianità e le nostre capacità.

Ve lo ricordate l’esperimento dello psicologo Martin Seligman? Lui vide che quando i topolini venivano sottoposti continuamente a stimoli negativi e non avevano la possibilità di fuggire, ad un certo punto semplicemente smettevano di tentare di evitare lo stimolo, si arrendevano e si comportavano come se fossero completamente indifesi. La cosa peggiore è che, quando in seguito gli si dava l’opportunità di fuggire, non ne approfittavano, perché in passato avevano appreso che non avevano possibilità di farlo.

Ecco, questa viene chiamata impotenza appresa, ovvero la convinzione che, qualunque cosa facciamo, non otterremo un risultato diverso. Lo scoraggiamento è tale che non siamo in grado di percepire e approfittare delle opportunità di cambiamento o di sollievo quando si presentano.

Non voglio parlarvi qui dei pericoli che si corre nel cadere in questo stato di passività e apatia, ma voglio solo mettervi in guardia, soprattutto per prepararci a quello che avverrà dopo il covid-19.

Abbiamo bisogno di sentirci tristi, arrabbiati e frustrati.

Proteggerci da queste emozioni ci rende più vulnerabili perché non impariamo a perseverare, dobbiamo invece viverle e riconoscerle senza lasciarci trascinare e pervadere da loro.

Dobbiamo essere coscienti di ciò che ci sta accadendo, ma anche tener ben presente che siamo Noi i primi responsabili di ciò che ci succede: perché possiamo scegliere come reagire alle situazioni!

Non vi sto a ripetere su cosa si basa la capacità di Resilienza, ormai la teoria vi starà già uscendo dalle orecchie, mi preme però sottolineare quanto sia importante essere coscienti che, anche se le circostanze ci influenzano, non determinano il corso degli eventi.

Darsi obiettivi, programmare la giornata, darsi una pacca sulla spalla per aver raggiunto un piccolo traguardo, riconoscere e parlare delle emozioni che proviamo, farci aiutare nel gestirle con chi ci sta accanto e mostrare questo esempio anche ai nostri figli è uno dei modi che abbiamo per riappropriarci del nostro potere personale.

Possiamo provarci, cosa ne dite?